Villapriolo le sue feste e tradizioni (Documentari)

Le devozioni principali, in paese, sono rivolte a San Giuseppe e al Santissimo Crocifisso. Le due feste sono celebrate, con grande affluenza dal popolo, la  Prima Domenica di Maggio e il 23 Agosto. Molto sentita è inoltre la festa di Santa Lucia da Siracusa, celebrata il 13 Dicembre.

La festa del Santissimo Crocifisso, festa molto sentita dalla popolazione di Villapriolo, viene festeggiata il 23 agosto, con le classiche solennità. I preparativi iniziano giorno 21 con l’apertura della fiera del bestiame, tuttora in uso, ma anticamente molto più sentita in quanto tutti gli agricoltori e gli allevatori della zona si riunivano col bestiame da vendere o da comprare. All’alba del 23 agosto, la popolazione si desta al suono delle campane, allo sparo dei mortaretti e al suono della banda musicale. È la festa più bella e attesa dell’anno. Dall’estero, dove si trovano per motivi di lavoro, tornano gli emigrati per riabbracciare i famigliari e rendere omaggio al SS. Crocifisso. È l’occasione per stare insieme. La famiglia si riunisce attorno a una grande tavolata, colma di piatti tipici Come i “maccarruna e i cavatiddi” fatti in casa. Per tutta la durata dei festeggiamenti il paese cambia volto, solitamente tranquillo si anima e diventa frenetico. Le strade addobbate con luci particolari, si riempiono con bancarelle ricolme di dolciumi e giocattoli dando una nuova dimensione al paese. La Chiesa viene addobbata con cesti di fiori particolari, come la cosiddetta “vara” dove viene inserita la statua del SS. Crocifisso, pronta per essere portata in processione per le strade del paese in spalla a robusti giovani che si alternano a gruppi di quattro. Il Santo inizia a sfilare accompagnato dal suono della banda musicale e da un folto corteo di fedeli, che partecipano per voto o per grazia ricevuta accompagnando il Santo per tutto il percorso scalzi, altri invece donano al SS. Crocifisso del denaro o fino a qualche tempo fa prodotti della terra come olio o frumento. Un momento molto intenso della processione, le frequenti soste, dove al grido di “viva u Santissimu Crucifissu”, chi per grazia ricevuta, chi per devozione, dona “la purmissioni”, spillandola alla fascia che cinge la vita del Crocifisso. La processione che si svolge dopo la celebrazione della Messa serale, parte dal sagrato della Chiesa, dove si conclude, dopo avere attraversato via Oratorio, via Roma, via Baglio, via Della Regione. I festeggiamenti proseguono fino a tarda serata con spettacoli musicali in piazza Lafuria.”La splendida statua fu donata, dopo la distruzione del vecchio crocifisso che si trovava all’interno della vecchia chiesa crollata a causa del terremoto del 1908, da un certo Mingiolino detto “Miuzzu”, il quale, come ricordano gli anziani, per pagarla, vendette l’unico bene che aveva: un appezzamento di terra.”

La festa di San Giuseppe, patrono del paese, si festeggia a Marzo ed è un evento significativo nella storia del paese. Secondo una tradizione secolare ben consolidata si possono visitare le “Tavulate di San Giuseppe” allestite in abitazioni private, dove il cibo esprime la cultura del luogo e viene preparato il “Pane di San Giuseppe” o “Pupi di San Giuseppi” pane dalle forme particolari, plasmato appositamente per raffigurare gli oggetti quotidiani del Santo falegname. Le tavole vengono imbandite con ogni prelibatezza, dalle frittate varie, alla frutta fresca, ai dolci di ogni tipo. Coloro che vi partecipano fanno una vera e propria esperienza di carità in quanto portano “u truscitiddru” (fagotto) di cibo direttamente a casa degli anziani, che così si rendono partecipi e contribuiscono alla riuscita della festa. Le tavolate vengono apparecchiate con preziosi merletti, lenzuolini e immagini di San Giuseppe. Ciascun visitatore è libero di gustare le prelibatezze messe a disposizione dal proprietario. Sono imbandite di primi piatti, come la pasta con il miele; di salsicce, salami e formaggi; broccoli, cardi e altre verdure fritte; dolci come i cannoli, le cassate,la pignolata, le cassatelle, bocconcini e babà ripieni… e poi frutta e vivande.
Il frutto simbolo delle tavolate di San Giuseppe è l’arancia, presente in quantità notevole. Inoltre le tavolate sono arricchite con finocchi e lattughe. Per i più piccini c’era il pranzo de “i virginiddri” a base di pasta con le lenticchie, baccalà e frittata di finocchi. Dopo il pranzo a tutti i bambini veniva donato un’arancia e un cioccolato, per ringraziarli per la loro presenza. L’usanza vuole che a queste tavolate partecipino delle comparse, scelte dal proprietario della casa, per rappresentare le figure della Sacra Famiglia. Al centro siedono San Giuseppe, Gesù Bambino e la Madonna accompagnati da San Girolamo e Sant’Anna; poi in talune abitazioni si ha il costume di invitare al vitto anche i dodici Apostoli, una tradizione popolare siciliana offerta come devozione al Santo.

La Commemorazione dei Defunti, risale al X secolo e viene celebrata il 2 novembre per commemorare i defunti.  Si narra che anticamente nella notte tra l’1 ed il 2 novembre i defunti visitassero i cari ancora in vita portando ai bambini dei doni. In primo luogo i giocattoli, ma soprattutto dolciumi di ogni sorta, tra i quali la frutta di martorana e i Pupi ri zuccaru, statuette di zucchero dipinte, che ritraggono figure tradizionali come i Paladini. Riguardo alla “Frutta Martorana” pare che sia uno tra gli emblemi delle specialità dolciarie della Sicilia. Deriva il suo nome e la sua origine dal Convento omonimo in Palermo. La tradizione vuole che nel periodo normanno le monache dell’attiguo monastero benedettino, fondato nel 1194 dalla nobile Eloisa Martorana, abbiano preparato per la prima volta dei dolci a forma di frutto (pare degli agrumi) che hanno poi appeso agli alberi in sostituzione di quelli già colti, al fine di arricchire l’aspetto del loro giardino durante la visita di un personaggio molto importante: un alto prelato o finanche un re. Da qui il nome dato all’impasto utilizzato, Pasta Reale, composto originariamente da zucchero grezzo o miele, mandorle tritate e chiaro d’uovo, nel corso dei secoli e con alcune modifiche diventato l’odierno marzapane, e la denominazione di Frutta Martorana.

S. Lucia da Siracusa, un avvenimento che viene atteso con particolare interesse è la “Vampa” di S. Lucia. Organizzata dai giovani del paese che si preoccupano a raccogliere la legna nei terreni circostanti o donata da persone che ne hanno fatto voto alla Santa. La legna si raccoglie in luogo per aspettare la sera del 12 dicembre con una processione e successivamente solo dopo le funzioni religiose con la benedizione, avviene l’accensione della “vampa”, un grande falò in onore della Santa. Prima il falo’ avveniva nel centro della paese di preciso nello spazio della “Chiesa Vecchia” in seguito venne spostata nel vecchio campo da calcio. La festa si conclude con la “Sagra della Cuccia”, piatto tipico della festa a base di frumento cotto. Questa tradizione è un richiamo per gli abitanti dei paesi vicini, che affluiscono numerosi per assistere al grande falò e all’assaggio della Cuccia. Si narra che questa tradizione sia stata tramandata dal qualche secolo fa quando avvenne il martirio della Santa, che tutto iniziò nei primi anni del IV Secolo, quando i cristiani venivano perseguitati e talvolta uccisi se seguivano la loro dottrina. Questo è quello che successe alla giovane nobile siracusana di nome Lucia che era dedicata a opere di carità donando parte del suo patrimonio ai poveri, ma per ripicca fu denunciata. Per punirla fu ordinata, dal rappresentante romano Pascasio, di portarla in un luogo infame tra le “Donne dannate”. Lucia per volontà divina divenne come una colonna di granito e nessuno riuscì a muoverla, nemmeno sei paia di buoi. Allora decisero di torturarla con il fuoco e dopo averla collocata su una catasta di legna le fece ungere il corpo con pece, olio, zolfo e appiccarono il fuoco. Ma uscì illesa allora presi dalla rabbia i soldati furono ordinati di ucciderla con le spade e le infissero una pugnalato sul collo e con le spade le trafissero il ventre. I cristiani presenti alla scena presero il corpo di Lucia e le diedero una degna sepoltura, il luogo divenne meta di pellegrinaggio e di devozione. La tradizione della “Cuccìa” ha origine verso la metà del XVII secolo, quando la Sicilia era ridotta in miseria. Oltre ai disagi e alle guerre ci fu una grande carestia. Il vescovo di Siracusa si rivolse a Santa Lucia, la statua della Santa per otto giorni fu portata nella Cattedrale, mentre era gremita di fedeli entrò una colomba, la quale fece tre giri dentro la Chiesa e poi si posò vicino al Vescovo. In quel momento nel porto della città di Siracusa erano arrivati dei bastimenti carichi di grano e legumi. Così la popolazione ebbe la possibilità di sfamarsi e fare delle provviste. Il giorno della festa di Santa Lucia è onorato con digiuno particolare. Molti infatti si privano di mangiare pane e pasta e si nutrono di frumento cotto chiamato popolarmente “Cuccìa”, per ricordare l’avvenimento accaduto.

La Pasqua per il suo messaggio Cristiano di pace e di redenzione , la Pasqua è senz’altro la festa religiosa più importante dell’anno. Una volta la sua venuta metteva in movimento tutte le famiglie del paese, che si riunivano in preghiera per tutta la Settimana Santa. Le massaie usavano preparare, qualche settimana prima, delle uova sode che sistemati su fogli di pasta frolla lavorata a forma di uccelli “Aciddi”, tipici dolci pasquali e si distribuivano in segno di amicizia a parenti e amici. La particolarità di questa festa sono le sacre funzioni della Settimana Santa. Il Mercoledì si usa preparare il Sepolcro in devozione a Cristo morto e tutti i fedeli si alternano in preghiera. Un’altra usanza rimasta intatta ai giorni nostri è quella del Venerdì Santo. Il credente digiuna tutta la giornata. Anticamente si astenevano da ogni attività lavorativa per trascorrerla pregando. Nella giornata del Venerdì Santo viene portato in processione per le vie del paese il Cristo morto nella sua bara “Vara”, molto antica e pregiata che ha piu’ di 80 anni.  Molto commovente l’incontro con la Madonna, che si svolge in Via Bongiorno in presenza di tutta la popolazione, dove allo scoccare di mezzogiorno si ripete la crocifissione. Nel tardo pomeriggio viene riportato in Chiesa ripercorrendo le vie del paese accompagnato dalla “Ladata”, un canto popolare di secolare tradizione molto suggestivo e particolare. Melodiosi lamenti sempre in tono minore creano una particolare atmosfera suggestiva.  La Ladata, è una forma di lamento che nasce tra il XIII e il XVI secolo e ha origine dai compianti medievali. È un componimento letterario, generalmente scritto in versi, che esprime sofferenza. Nato come canto religioso, che rievoca la morte e crocifissione di Cristo e accompagna la processione fino al Calvario. Ancora più preziosa dal fatto che per interi secoli si è tramandata oralmente e solo nella circostanza della processione del Venerdì Santo. La mattina la processione viene richiamata dal suono delle “Ciaspole” con la classica “Ciaspulata”. Mentre per la Pasquetta si usa trascorrere, nelle proprie campagne o da amici e parenti, l’intera giornata con grigliate e prodotti locali. Nel periodo prepasquale si effettua la lavorazione delle palme, che si tramanda di generazione in generazione, che solitamente accompagnano la celebrazione rituale. Le foglie di palma tenute al buio per 40 giorni acquistano un colore bianco pallido; vengono poi tagliate in lunghe liste e intrecciate con cura e precisione a scopo ornamentale e come simbolo di immortalità e di rigenerazione.

Il Carnevale L’usanza più comune era quella di ospitare intere allegre comitive in maschera, capeggiate da un accompagnatore chiamato “Vastuniri” che restava sempre a viso scoperto per farsi riconoscere. Giravano per tutto il paese chiedendo ospitalità e ristoro e se la compagnia era gradita venivano ammessi per un ballo o più. Nei tempi addietro non esistevano ancora le tv, il cinema, i computer e queste feste costituivano un’occasione per stare insieme. Si ballava alla luce di piccoli lumi a petrolio ed al suono di qualche strumento musicale (Fisarmonica,Mandolino o Violino). Si sistemavano le sedie lungo le pareti della stanza e la stanza era pronta per ospitare le persone che potevano ballare nei giri di Valzer, Mazurca, Tarantella e Tango. Per il Giovedì Grasso si usava riunirsi attorno a delle grandi tavolate per consumare tra balli e scherzi di ogni genere i dolci tipici Casatiddi e Sfingi. Era un modo come l’altro per passare in serenità e allegria un giorno di festa. Dagli anni ottanta, grazie alla volontà di giovani, nelle settimane che precedono il Carnevale, si impegnano nella realizzazione di carri allegorici e gruppi di maschere, per sfilare lungo le strade del paese e far rivivere tale festa.

Le nozze, i  matrimoni vengono celebrati nella chiesa San Giuseppe del paese. Le tradizioni, gli usi e costumi che si tramandano da generazioni resistono ancora oggi nel paese, dove il giorno del matrimonio è un giorno unico per raccogliere intorno a se moltissimi parenti e amici. La festa del matrimonio inizia già qualche sera prima con la classica “serenata”, dove i parenti dei rispettivi sposi aprono la casa agli invitati. La chiesa diventa un set, così come piazze, parchi e monumenti luoghi di interesse per le foto ricordo. Il ricevimento di nozze è una tradizione che riassume l’eredità greco-romana dei simposi e dei banchetti che vengono svolti nei ristoranti del posto. Un’altra tradizione sono i compari d’anello, scelti spesso fra gli amici più cari, che offrono in dono alla coppia le fedi nuziali, infatti essi saranno molto più che testimoni di nozze o carissimi amici saranno “compari”.

I Prioles sono un duo comico cabarettista siciliano composto da Mario Volanti (Villapriolo, Ottobre 1953) fotografo di professione e Nino Allegro (Villapriolo, 16 Luglio 1956) titolare de Allegro Bar “da Cugino Nino”. Molto conosciuti il duo ha avuto un buon successo teatrale esibendosi oltre alla piazza del proprio paese di Villapriolo anche in varie piazze della provincia e non, portano in giro la loro sicilianità con l’accento e il dialetto tipico del posto. Divertono con il loro cabaret interpretando personaggi con delle situazioni irreali.  Alcuni dei loro motti :“viva la vita, viva il sorriso ridi con noi e campa 200 anni!”  e  “un si nni capì cchhiu nenti!”

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A cura di Francesco Paolo de Leo

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