Cucina

Cucina e tradizione siciliana

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La cucina siciliana è l’espressione dell’arte culinaria sviluppata in Sicilia ed è strettamente collegata alle vicende storiche, culturali e religiose dell’isola. Si tratta infatti di una cultura gastronomica regionale complessa ed articolata, sovente ritenuta la più ricca di specialità e la più scenografica d’Italia, che mostra tracce e contributi di tutte le culture che si sono stabilite in Sicilia negli ultimi due millenni. Considerata una delle più famose e prestigiose d’Italia i suoi piatti infatti richiamano specialità di origine greca, araba, spagnola e di altre civiltà.

Molte ricette e piatti della tradizione tipica siciliana sono stati ufficialmente riconosciuti e inseriti nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani (P.A.T.) Regione Sicilia e del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf). 

  • I Pupi di San Giuseppi” pane dalle forme particolari per raffigurare gli oggetti quotidiani di San Giuseppe;
  • U’ Maccu” antica minestra a base di fave molto cotte e schiacciate con la forchetta;
  • Frascatula” antica minestra siciliana a basa di farina di grano e verdure;
  • Cavatiddi“  pasta fresca fatta in casa con farina locale;
  • Maccarruna” pasta fresca fatta in casa con farina locale;
  • “Ricotta di Pecora”, prodotto caseario, precisamente un latticino di produzione locale;
  • “A Sasizza” salsiccia di maiale fresca, condita con spezie e pronta per la griglia;
  • Arancini“ arancine di riso ripieni di ragu’ con piselli o in tante varianti al burro o spinaci:
  • “Lardo salato e speziato” lasciato stagionare in cantina;
  • “Cuccìa” piatto tipico a base di frumento cotto;
  • “Cudduruni” pasta di pane fritta e cosparsa di zucchero;
  • “Buccellato“ specialità tipica locale ripieno con fichi;
  • “Mustazzoli” biscotto non lievitato di origine araba;
  • “Totò” biscotto non lievitato ricoperti da una leggera glassa a base di cioccolato;
  • “Ossa dei murti” dolce particolare che viene consumato durante la Festa della Commemorazione dei defunti;
  • “Granita di Limone con Brioscia” un dolce freddo composto da liquido semi-congelato  tipico della Siciliano;
  • “Fichi” frutto tipico utilizzato nella preparazione di dolci rustici;
  • “Fichi d’India” frutto tipico utilizzato nella preparazione di dolci rustici;

ed altre specialità provenienti da ogni parte dell’isola

Negli anni passati venivano allestite le tavolate di San Giuseppe o Altari di San Giuseppe in siciliano “Tavuli ‘ri’ San Giuseppi”. Consistono in alcune tavole imbandite di cibarie di vario genere, offerte come ex voto a San Giuseppe durante i festeggiamenti del 19 marzo, venivano preparate nelle case dei devoti che per tutta la giornata rimanevano aperte al pubblico. È una vera e propria arte culinaria diffusa nei paesi dell’entroterra siciliano, dove la devozione al padre putativo di Gesù è particolarmente sentita.

Numerosi sono gli appuntamenti di carattere gastronomico che si tengono con cadenza annuale 

Le Pagnotte di ENNA

Le qualità di pane più diffuse a Enna sono le pagnotte da 500 g. o da 200 g., confezionate con farina di grano duro. L’impasto viene preparato con i seguenti ingredienti e proporzioni: Farina di grano duro (semola rimacinata) Kg. 10; Lievito madre Kg. 03; Lievito di birra g. 100; Sale g. 150;  Acqua g. 6.000 ca. a 24° C.

Lavorazione: 

  • Il tutto viene versato nell’impastatrice a forcella e lavorato per la durata di 25 minuti *, quindi si fa riposare in vasca per 30 minuti ca. ·
  • Dopo si procede allo spezzettamento della pasta in pezzi dal peso desiderato, e all’arrotondamento con il quale vengono formate le pagnotte. ·
  • Queste vengono poi messe a riposo su tavole, e coperte con tele di cotone. ·
  • Trascorsi 15 minuti ca., le pagnotte vengono pressate a mano, e lasciate riposare per altri 60/70 minuti ca. all’atto di infornarle, le pagnotte vengono capovolte, e la cottura avviene a temperatura di ca. 230°/250° C.

     

    * I tempi d’impasto si riferiscono ad impastatrice a forcella, nel caso d’impastatrice a spirale debbono essere dimezzati.
    N.B. I tempi d’impasto, riposo e la quantità d’acqua possono variare in relazione a vari fattori, sono quindi suscettibili di modifiche dettate dall’esperienza.

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Pane di semola di grano duro rimacinata (con lievito madre)

Lievito madre Dosi e preparazione: Semola di grano duro rimacinata g. 1.000 – Lievito di birra g. 20 – Acqua g. 700 :

Sciogliere il lievito in acqua fredda; Aggiungere ed impastare la semola di grano duro rimacinata, e lasciare inacidire il tutto per ca. 24H.

Pane
Dosi e preparazione:

Semola di grano duro rimacinata g.10.000 – Biga g.1.000 – Acqua g.7.000 ca. –  Lievito di birra g.10 – Sale g.150 ·

  • Introdurre nell’impastatrice (a forcella) la semola di grano duro rimacinata, il sale, circa il 70% dell’acqua (g.5.000 ca.) ed il lievito madre ·
  • Impastare per ca. 30 minuti; * ·
  • Durante l’impasto aggiungere la rimanente parte d’acqua (g. 2.000 ca.) ed il lievito precedentemente sciolto in acqua fredda; ·
  • Quindi pesare e fare le preforme; ·
  • Far riposare le forme per circa 90 minuti, sui telai ricoprendo gli impasti con tele di cotone;
  • Tagliarle, ed infornarle ad una temperatura di ca. 230°/250°C per ca. 15/20 minuti.

* I tempi d’impasto si riferiscono ad impastatrice a forcella, nel caso d’impastatrice a spirale debbono essere dimezzati.
P.S. La dose del lievito madre deve essere ca. il 10/15% dell’impasto.
N.B. I tempi d’impasto, riposo e la quantità d’acqua possono variare in relazione a vari fattori, sono quindi suscettibili di modifiche dettate dall’esperienza.

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Pane di semola di grano duro rimacinata

Il pane di grano duro, prodotto integralmente con la semola di grano duro rimacinata, è considerato pane di qualità. Infatti, al gusto delicato, si aggiunge una crosta sottile e croccante, una mollica soffice e dorata, un’ottima conservazione nel tempo.

Dosi e preparazione: 

Semola di grano duro rimacinata g. 10.000 – Lievito di birra g. 150/200 – Sale g. 150  – Acqua g. 7.000 ca.

  • Introdurre la semola rimacinata, il sale e circa il 70% dell’acqua (g. 5.000 ca.) nell’impastatrice (a forcella); ·
  • Impastare per ca. 30 minuti; *
  • Durante l’impasto aggiungere la rimanente parte d’acqua (g.2.000 ca.) ed il lievito precedentemente sciolto in acqua fredda; ·
  • Quindi pesare e fare le preforme;
  • Far riposare le forme per ca. 90 * minuti sui telai ricoprendo gli impasti con tele di cotone;
  • Quindi tagliarle, ed infornarle ad una temperatura di circa 230°/250°C per ca. 15/20 minuti;

     

    * I tempi d’impasto si riferiscono ad impastatrice a forcella, nel caso d’impastatrice a spirale debbono essere dimezzati.
    N.B. I tempi d’impasto, di riposo e la quantità d’acqua possono variare in relazione a vari fattori, sono, quindi, suscettibili di modifiche dettate dall’esperienza.

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Usi popolari delle piante selvatiche nel territorio della Sicilia Centrale

Asphodelus ramosus – Famiglia: Liliaceae – Nome comune: Asfodelo mediterraneo – Nome dialettale: Purrazza

Pianta eretta, bella e vistosa, alta fino 150 cm, è un’erbacea perenne.  Rustica e resistente, la sua fioritura resiste da Febbraio a Maggio, periodo in cui abbellisce ampi spazi e panorami. Le sue radici tuberizzate, fusiformi o irregolari ricche in sostanza amilacee e pectiche, in periodi di carestia, furono utilizzate come alimento. Dalla pianta di asfodelo si ricava un ottimo miele, dal gambo si producono i nastri per l’intreccio dei cestini. Ha tanti altri significati un mazzo di asfodeli per evocare “oblio per il passato e promessa per il futuro”.

Anticamente (Omero, Odissea)  l’asfodelo era la pianta degli Inferi.  Gli antichi Greci usavano piantarli sulle tombe, considerando i prati di asfodeli il soggiorno dei morti: infatti immaginavano il Regno dei Morti suddiviso in tre parti: il Tartaro per gli empi, i Campi Elisi per i buoni, ed infine i prati di asfodeli per chi era stato “né buono né cattivo”.

Nel territorio è radicata la credenza che dalla fruttificazione della pianta sia possibile prevedere l’andamento del raccolto del frumento (lavuri). Infatti, se l’Asfodelo presenta una copiosa fruttificazione, per analogia lo sarà anche quella delle spighe di grano, da cui deriva il detto: “l’annata si ni va apprissu la purrazza”. Per portare un esempio erano simili alle carote o patate americane. Inoltre in passato le radici tuberizzate venivano consumate dalla povera gente in sostituzione delle carote.

Si narra che questo espediente gastronomico era praticato anche dagli abitanti di Villapriolo per questo motivo gli abitanti venivano appellati dai villarosani “i purrazzara” o “purrazzani” sottolineando così la loro non florida condizione economica. Si racconta che un giorno alcuni buontemponi di Villapriolo invitarono un gruppo di villarosani ad un banchetto in cui alcune pietanze erano radici di Asfodelo camuffate da carote. I villarosani trovarono molto buono il desinare sicché fu dimostrato che anche gli abitanti di Villarosa divennero purrazzara. (Dipartimento di Botanica, Università degli studi di Catania)

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